Il passaggio temporalesco della serata del 27 giugno, con interessamento dell’Emilia centrale ed orientale, ed in misura più attenuata su Romagna, è già stato esposto e commentato da A. Raggini in un recente commento.

Tuttavia un piccolo approfondimento si rende necessario allo scopo di chiarire per sommi capi questa specie di effetto “sorpresa” relativo ai fenomeni della suddetta serata; effetto solo parziale nel senso che si era ipotizzato un graduale esaurimento di sistemi temporaleschi attivi sul Veneto (questi ampiamente previsti) in prossimità delle aree a ridosso del Po e su ferrarese, senza interessare altri comparti regionali.

In realtà i temporali si sono spinti ben più a sud andando ad interessare modenese, bolognese, ferrarese e parte del reggiano fino ad impattare la catena appenninica, mentre un altro sistema temporalesco ha interessato, ma con fenomeni più modesti, la linea di costa tra Ravenna e Cervia.

Detto in sede preliminare che i fenomeni temporaleschi riguardano dinamiche alla mesoscala, e che quindi hanno un margine di imprevedibilità superiore (specie quando non di origine frontale) rispetto ad altre tipologie di fenomeni che si esplicano su scale più ampie, alcuni fattori hanno contribuito ad innescare fenomeni temporaleschi ben più a sud rispetto alle aree individuate; fattori che possono essere ben analizzati post evento, ma presentano maggiori difficoltà in sede di previsione, giacchè il confine tra una serata tranquilla ed una serata con rovesci di pioggia e fulmini (benchè con un passaggio assai veloce) è sovente assai sottile.

La forzanti che hanno favorito l’innesco di intense celle temporalesche anche in Emilia e parte della Romagna hanno avuto origine essenzialmente nei medi e bassi strati, per cui sarà essenzialmente a quei livelli che si farà riferimento.

1) L’attività temporalesca innescatasi nel tardo pomeriggio su Triveneto in seno ad una moderata infiltrazione di aria fredda in quota (tra i piani isobarici di 850 e 500 hPa) con traiettoria NW-SE ed in scorrimento sulla dorsale orientale del promontorio di alta pressione che ci interesserà nei prossimi giorni, è stata più consistente e prolungata rispetto alle attese, determinando la strutturazione di un outflow boundary (correnti fredde nei bassi strati di origine convettiva che si aprono a ventaglio allontanandosi dal sistema temporalesco), in evoluzione verso SSW. Le correnti di outflow possono innescare nuove celle temporalesche qualora esse entrino a contatto, sollevandole energicamente, con masse d’aria più calda preesistenti in loco o che giungano da altre aree richiamate da modeste depressioni nei bassi strati. Tuttavia questo particolare aspetto era stato ben simulato dalla maggior parte dei LAM (Limited Area Model) disponibili; al più si può rilevare,a posteriori, una leggera sottostima rispetto alla reale intensità degli outflow boundary provenienti dal Veneto.

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 Campi di vento a 10 m previsti per le ore 21.00 UTC del 27/6/2015. Fonte: LAMMA ARW 3 km Model

Gli stessi LAM mostravano anche un flusso da ENE di origine sinottica (bora), che associato alla temporanea avvezione fredda in quota, avrebbe essenzialmente interessato Romagna e fascia costiera come puntualmente verificatosi. La linea gialla nella figura sopra indica l’outflow boundary da NE relativo ai sistemi temporaleschi sul Veneto; la linea rossa indica correnti sinottiche da ENE dirette verso la costa romagnola, responsabili dell’innesco di un secondo sistema temporalesco ma più debole, quantomeno sulla terraferma.

2) Nonostante la corretta simulazione dei flussi attesi nei bassi strati, ed eccezione della prima citata sottostima delle correnti di outflow da NNE, molti dei LAM che spesso sono disponibili in rete, specie quelli con dati al contorno GFS model, non mostravano particolari rischi di attività temporalesca in regione. Una nota particolare riguarda i campi di precipitazione previsti dai modelli fisico-matematici: benchè la visione diretta rappresenti una pratica veloce e di rapida consultazione (e che quindi consente di far risparmiare tempo ai previsori, siano essi amatoriali che non), costituisce un approccio talvolta “rischioso” particolarmente in occasione di fenomeni temporaleschi o alla mesoscala. Certamente sarebbe consigliabile analizzare in sede preliminare diversi altri parametri che possono essere di notevole utilità nel formulare una previsione (ovviamente non automatica e men che meno stile “app”).

3) Tornando al punto principale i flussi nord-orientali in discesa dal Veneto (OB) sono andati poi ad interferire con deboli correnti occidentali più calde ed umide presenti sull’Emilia (PBL tipicamente padano nelle ore del tardo pomeriggio o serali nella stagione calda); o in alternativa con correnti assai umide da ESE attive su Romagna e costa (anche queste sostanzialmente normali e legate al ciclo diurno delle brezze costiere). In particolare su Emilia a causa della concomitanza di tali fattori (innesco di nuove celle sull’outflow boudary, con convezione profonda favorita dall’afflusso fresco in quota) non sono quindi mancati temporali di una certa severità, con tendenza ad innesco delle celle giovani e più intense davanti ed a destra rispetto al fronte dell’outflow, evenienza tipica di siffatte dinamiche il cui motivo verrà spiegato in altra occasione.

4) Ma allora perchè i famigerati modelli mostravano basso o nullo rischio di precipitazioni? Perchè ad essi è “sfuggito” un altro piccolo particolare, che peraltro concerne le dinamiche interne al PBL (Planet Boundary Layer) e che comunque si ricollega all’arivo degli outflow boundary dal Veneto: la presenza di valori alquanto elevati di CIN, ovvero Convective Inhibition, che normalmente si hanno in condizioni di partenza sostanzialmente stabili, quantomeno nei bassi strati qualora prevalgano campi anticiclonici.

Valori sufficientemente elevati di CIN rappresentano un ostacolo all’innesco dei moti convettivi; una sorta di “resistenza” alla convezione favorita o dalla presenza di strati stabili se non caratterizzati da inversione termica (questo ultimo caso è più tipico di invasioni calde nord africane). In poche parole se non viene vinta questa “resistenza” non succede nulla nonostante l’eventuale presenza di aria instabile o fresca alle quote superiori. Ed è questo che ipotizzava la maggioranza dei LAM nonostante fosse stata simulata in modo sostanzialmente corretto tale parametro, fatti salvi valori un poco più alti rispetto alla realtà in Emilia per una prevista, ma non verificatasi, maggiore ingerenza al suolo delle correnti marittime provenienti dal mare Adriatico nel pomeriggio inoltrato (esse sono più stabili poichè in questo periodo dell’anno in mare non è ancora particolarmente caldo). Ma se per quale motivo questa resistenza viene vinta da moti ascensionali forzati, allora la convezione potrà risultare molto rapida e non di rado esplosiva.

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Valori previsti di CIN (J/Kg) alle ore 21.00 UTC del 27/6/2015. Fonte: LAMMA ARW 3 km Model

Ed ecco che allora è stata proprio la maggiore intensità degli outflow boudary provenienti da nord-nord-est che ha innescato i moti verticali dal basso, sollevando l’aria calda preesistente, più che sufficienti a sovvertire l’inibizione alla convezione presente negli strati più bassi; una volta vinta questa i moti verticali sono proseguiti spontaneamente per i motivi precedentemente indicati, portando all’innesco di celle temporalesche severe. Peraltro in queste condizioni o non accade assolutamente nulla o si passa a temporali violenti; in pratica non esistono vie di mezzo.

Una situazione simile, sebbene a più vasta scala e con effetti ben peggiori, si ebbe durante l’outbreak tornadico del 3 maggio 2013; anche allora fu sovrastimata la tenuta di una strato inversionale strutturatosi in seno ad una invasione di aria calda e stabile proveniente dal nord Africa, il quale cedette come conseguenza di moti verticali inizialmente forzati (dry-line appenninica), portando poi all’innesco di temporali a supercella.

Dunque, l’imprevedibilità dei fenomeni temporaleschi non legati a passaggi frontali può essere alquanto elevata in condizioni limite, ovvero per le quali basta davvero poco a determinare la differenza tra il nulla ed eventi di tempo severo. Ecco perchè in tali circostanze la prudenza non è mai troppa.

Infine è stata segnalata frequente comparsa di grandine, anche di discrete dimensioni, durante i rovesci; il radiosondaggio di San Pietro Capofiume, nonostante si riferisca alle ore 00 UTC e quindi con i fenomeni principali già occorsi, è ugualmente rappresentativo: infatti a fronte di valori di CAPE (Convecitve Available Potential Energy) non particolarmente elevati (843 J/Kg) risulta piuttosto consistente la frazione di HAIL region CAPE sul totale (526 J/Kg). Il CAPE nella hail region considera l’energia convettiva potenziale disponibile nello strato troposferico compreso tra le isoterme -10°C e -30°C, vale a dire l’area nella quale solitamente è particolarmente abbondante la quantità di acqua sopraffusa (goccioline liquide in ambiente a temperature negative); e l’acqua sopraffusa è uno degli elementi fondamentali che vanno a costituire i chicchi di grandine aderendo agli embrioni già formati. Ecco perchè se è presente elevata predisposizione alla convezione in quella particolare regione, le precipitazioni saranno facilmente caratterizzate da grandine.

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 Radiosondaggio SP. Capofiume ore 00 UTC del 28-6-2015 elaborato con RAOB program

 

Nella figura sopra si nota come l’area del CAPE (segmento colorato in rosso ed azzurro) non mostri valori particolarmente elevati, tuttavia è elevata la frazione di HAIL CAPE (settore della colonna in azzurro) che rende probabile la comparsa di grandine nel momento in cui si hanno i rovesci. Da notare anche come il vettore di storm motion in alto verso sinistra con la freccetta marrone (direzione di propagazione dei sistemi convettivi e non il movimento delle singole celle), sia orientato da NNE a SSW (metodo Bunkers) in ordine al profilo verticale del vento, come effettivamente occorso nella serata del 27 giugno.

P. Randi