Si è da poco conclusa la primavera meteorologica 2017. Come possiamo considerarla?
Dunque, in Romagna, ma anche in molte altre aree della penisola, si tratta di un vero e proprio “manifesto” del climate change (leggi riscaldamento globale): la primavera più calda dal 1950 (ma potremmo andare tranquillamente più indietro nel tempo) in coabitazione con quella del 2007, entrambe con un’anomalia di temperatura media di ben 2°C rispetto al riferimento climatologico di periodo 1971-2000.

Due gradi di anomalia termica distribuiti su un periodo stagionale (trimestre) rappresentano un’enormità.

Particolarmente miti, se non proprio caldi, sono risultati i mesi di marzo (anomalia termica media regionale di +2,9°C, ovvero il marzo più caldo degli ultimi 100 anni) e di aprile (+1,9°C, vale a dire il settimo aprile più caldo dal 1950). Maggio, pur con anomalia termica più contenuta, ha comunque superato il grado di scarto dalla norma 1971-2000 (+1,1°C), contribuendo anch’esso alla determinazione di un trimestre primaverile estremamente caldo.

 

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Anomalia di temperatura media primaverile in Romagna dal 1950. Fonte: elaborazione P. Randi su dati stazioni ARPAE ed ASMER

Eppure sotto certi aspetti la primavera 2017 verrà ricordata soprattutto per un evento di segno opposto, ovvero per i notevoli danni alle coltivazioni provocati dalla fase fredda intercorsa all’incirca tra il 19 ed il 22 aprile.
Un evento meteorologico “freddo” di notevole estensione territoriale e magnitudine all’interno però di una stagione caldissima.

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Particolare di danni da gelo su kiwi dell’aprile 2017. Fonte: www.freshplaza.it

Ecco, il climate change è anche e soprattutto questo: stagioni o fasi climatologiche sempre più calde (su scale spaziali e temporali molto estese) ma con presenza, talora, di brevi episodi meteorologici di segno inverso, anche severi in qualche circostanza.
Maggiore variabilità quindi e maggiore vocazione ad eventi “estremi”, ma con netta supremazia di quelli “caldi”, quantomeno se rimaniamo nel campo termico.
Insomma il succedersi delle stagioni nell’epoca attuale sta confermando e rafforzando ciò che gli “addetti ai lavori” (quelli seri), modelli di clima, e compagnia bella vanno affermando e sottolineando da tempo, nonostante qualcuno ai piani molto alti dissenta.

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Probabilità di occorrenza di incremento dei valori medi, della variabilità e somma delle due componenti in relazione al global warming. Fonte: IPCC

Sotto il profilo delle precipitazioni la primavera 2017 è risultata poco piovosa, con un’anomalia pluviometrica negativa del 27%, ovvero quasi un terzo in meno delle precipitazioni che si dovrebbero avere in questa stagione, che, ricordiamo, è statisticamente la seconda più piovosa dell’anno dopo l’autunno.
Particolarmente scarse sono state le precipitazioni occorse in marzo (-66,1%) ed aprile (-31,9%), mentre il modesto surplus di maggio (+9,8%) non è stato sufficiente a bilanciare l’anomalia negativa accumulata nei due mesi precedenti.

Archiviamo pertanto una primavera 2017 caldissima e poco piovosa, e considerando anche la scarsa piovosità dell’inverno che l’ha preceduta, ciò potrebbe rappresentare un aspetto particolarmente negativo in vista della stagione estiva appena cominciata, a meno che non si abbia, entro un periodo ragionevolmente breve, una inversione di tendenza.