Sotto il profilo meteorologico e climatologico l’inverno comincia il primo dicembre e termina il 28 febbraio (il 29 negli anni bisestili), per cui oggi salutiamo l’arrivo della nuova stagione con un po’ di brina notturna ed all’alba come ricordo della breve irruzione fredda di inizio settimana. Nulla di eclatante per carità; solo temperature minime leggermente al di sotto dello zero e prati un poco imbiancati al sorgere del sole.

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Campo ricoperto di brina

Peraltro tale aspetto riguarda solo le zone pianeggianti, poiché l’avvezione di aria calda in quota attivatasi in seno a correnti nord-occidentali “di ritorno” da una vasta alta pressione dinamica in fase di rimonta sul nostro territorio, hanno già provveduto a far salire le temperature sui rilievi ed in genere al di sopra dello strato di inversione termica che immancabilmente si struttura in queste circostanze.

Gelata o brinata?

I due termini, ad un approccio superficiale, possono apparire sinonimi, ma in realtà così non è. Dal punto di vista fisico si parla di gelo quando la temperatura dell’aria scende al di sotto dello zero (ricordiamo che lo zero è la temperatura del ghiaccio fondente, quindi è un valore positivo), ma possiamo avere condizioni di gelo senza la presenza di brina quando l’aria è molto secca (le cosiddette gelate nere o “black frost”). Se invece l’aria è sufficientemente umida, e quindi ricca di vapore acqueo, e diminuisce nelle ore notturne essa può raggiungere la propria temperatura di rugiada (valore positivo) o temperatura di brina (valore negativo); nel secondo caso il vapore acqueo sublima direttamente in piccoli cristalli ed aghi di ghiaccio ad ornare i nostri prati senza passare attraverso la fase liquida.

Ecco perché è fisicamente un grave errore considerare la brina come “rugiada congelata”, poiché la brina si forma per il passaggio diretto vapore-ghiaccio.

Al contrario possiamo avere leggere brinate anche quando la temperatura dell’aria non arriva a scendere al di sotto dello zero, poichè la superficie del suolo si raffredda in genere più dell’aria sovrastante (anche in base alla natura del terreno); è sufficiente che la massa d’aria contenga una certa quantità di vapore acqueo. Insomma i due fenomeni non sempre vanno a braccetto.

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Formazione di brina sull’erba

Tornando alle gelate esse sono ascrivibili a cause sinottiche (irruzioni di aria artica o polare continentale) cui si associano cause locali (drenaggi di aria fredda dalle pendici) o alla microscala (irraggiamento notturno verso lo spazio). Fenomeni micrometeorologici di rilievo alle nostre latitudini e sulla nostra regione sono le gelate da irraggiamento.

Durante il giorno l’aria non si riscalda direttamente per effetto della radiazione solare ma solo indirettamente per cessione di calore da parte del suolo. Di notte il suolo, non ricevendo energia dal sole, perde progressivamente calore irraggiandolo verso lo spazio e di conseguenza si raffredda, raffreddando così anche lo strato d’aria ad esso più prossimo e determinando così il fenomeno dell’inversione termica, per cui lo strato d’aria più vicino al suolo è più freddo di quelli superiori.

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Esempio di profilo termico verticale con inversione notturna al suolo. Fonte: D.ssa F. Ventura”Protezione dalle gelate”

Importanza notevole in zone ad orografia complessa come quella della nostra regione possono avere le gelate per lento scivolamento di masse d’aria fredda (gelate da avvezione locale). Alla base di tali gelate è sempre l’irraggiamento notturno, più sensibile nelle aree culminali e sulle pendici grazie ad un fattore di visione del cielo più ampio rispetto a quello proprio dei fondovalle. Pertanto durante la sera e la notte, specie in condizioni di alta pressione con cielo sereno e scarsa ventilazione, le pendici e le aree culminali produrranno grandi quantità d’aria fredda che essendo più densa e pesante scorrerà a valle accumulandosi nei fondovalle, nelle zone pedemontane ed in generale nei compluvi (fenomeno del cold pool o lago freddo).

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Accumulo notturno di aria fredda per drenaggio e scorrimento dai pendii montuosi. Fonte: NOAA

Una elevata importanza nell’innescare gelate alle medie latitudini hanno i meccanismi avvettivi che determinano l’arrivo di masse d’aria fredda provenienti da latitudini polari o artiche. Si hanno così le cosiddette gelate da avvezione, ovvero portate da irruzioni fredde provenienti dalle direzioni comprese tra nord (Scandinavia, Finlandia) o da nord-est (Russia, Balcani). Occorre peraltro precisare che spesso la genesi delle gelate vede la simultanea presenza dei tre meccanismi prima citati, per cui ad esempio una forte gelata sulla nostra regione può essere originata in una prima fase dall’arrivo di aria fredda dall’Europa nord-orientale cui si somma, in una seconda fase, il drenaggio d’aria fredda dai rilievi appenninici e l’irraggiamento radiativo notturno.