Di Pierluigi Randi
Durante il pomeriggio del giorno 5 settembre 2010 una grandinata di eccezionale violenza è occorsa su una vasta area del comparto territoriale imolese (segnatamente quello settentrionale e nordorientale comprendente le località di San Prospero e Sasso Morelli), recando danni devastanti non solo alle colture ma sensibili anche alle infrastrutture a causa dell’enorme dimensione dei chicchi (diametro medio di 3 cm con picchi di oltre 5 cm).
Se da un lato su comparto imolese ed anche faentino sono abbastanza comuni eventi grandinigeni poiché vengono sovente a trovarsi nella zona di convergenza nei bassi strati tra flussi sudoccidentali appenninici secchi, ed orientali o sudorientali adriatici molto umidi (dry-line) che, in condizioni di sufficiente instabilità atmosferica, supportano l’innesco di sistemi temporaleschi, dall’altro queste zone sperimentano raramente chicchi di grosse dimensioni (anche se talora i rovesci risultano abbondanti), come accade ad esempio, per quanto concerne la regione Emilia-Romagna, su ferrarese che detiene il primato regionale di energia media di caduta per unità di superficie. Inoltre queste stesse zone vedono, climatologicamente parlando, una maggiore frequenza di episodi nel periodo maggio-agosto (con giugno che vede la massima frequenza), mentre in settembre normalmente il fenomeno tende a divenire più raro.
In tal senso il rovinoso evento del 5 settembre è da considerarsi eccezionale.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo per sommi capi di illustrare il processo di formazione della grandine.
-Definizione-
La grandine è definita come una precipitazione di ghiaccio solido i cui costituenti (chicchi) abbiamo un diametro superiore ai 0.5 cm.
La grandine è essenzialmente un fenomeno legato alla dinamica delle nubi, cioè ai movimenti, soprattutto verticali (ma non solo), che in esse hanno luogo.
I meccanismi microfisici svolgono comunque un ruolo fondamentale per permetterne la formazione.
Affinchè si formi la grandine è necessaria la presenza di:
a) Intensi moti ascensionali (updraft), cioè correnti verticali che in modo quasi esplosivo si dirigono dai bassi strati alle alte quote (raggiungendo anche 10.000 m ed oltre alle nostre latitudini).
b) Abbondante vapore acqueo nei bassi strati e quindi aria sufficientemente umida, almeno come condizione preesistente.
I moti ascendenti non devono essere “perfettamente verticali” ma inclinati (shear verticale del vento).
Lo shear verticale favorevole nel campo del vento è inteso come una variazione in velocità (aumento) ed in direzione (rotazione oraria) con la quota. Normalmente queste condizioni si hanno quando soffiano venti molto forti alle quote superiori (correnti a getto), e quando nei bassi strati atmosferici convergono masse d’aria da diverse direzioni ed aventi diverse caratteristiche termo-igrometriche.
In questo modo le nubi temporalesche assumo assetto “inclinato”, e ciò permette la coesistenza per lungo tempo delle correnti ascendenti (updraft) e discendenti (downdraft con annessi rovesci) senza che si “disturbino” eccessivamente.
Infatti nelle strutture perfettamente verticali le correnti discendenti fredde che trascinano verso il basso le precipitazioni tendono a “soffocare” rapidamente la corrente calda ascendente decretando il collasso del temporale in poco tempo, e ciò è tipico di temporali di debole o al massimo moderata intensità.
Il vapore acqueo deve essere “confinato” preferibilmente nei bassi strati atmosferici (aria umida a bassa quota e secca alle quote superiori).
A questo punto subentra una particolarità piuttosto singolare:
Poiché l’acqua ha una tensione superficiale (relativamente) molto grande questo sfavorisce i suoi cambiamenti di stato.
Insomma il vapore acqueo ha difficoltà a diventare liquido e l’acqua liquida ha difficoltà a diventare ghiaccio.
Nelle nubi è molto frequente trovare contemporaneamente acqua liquida e ghiaccio anche a temperature di -15 o -20 °C e fino a -40°C (acqua sopraffusa); solo a temperature inferiori a -40°C il ghiacciamento è sempre presente.
L’acqua sopraffusa è però molto instabile: basta una minima sollecitazione per farla diventare rapidamente ghiaccio, cosa che avviene accompagnata dal rilascio del calore latente di solidificazione.
Insomma la formazione della grandine è favorita dalla contemporanea presenza in seno alla nube temporalesca di abbondante acqua sopraffusa (liquida a temperature inferiori allo 0°C) e cristalli di ghiaccio.
I moti ascendenti (raffreddamento) favoriscono la “condensazione” del vapore (tante goccioline).
Il ghiaccio “raccoglie” le goccioline d’acqua sopraffusa le quali “congelano” rapidamente rilasciando il calore latente di solidificazione.
In pratica i cristalli di ghiaccio si ingrandiscono a spese delle goccioline liquide.
Una volta che il nostro chicco di grandine ha preso forma precipita, per gravità, entro la nube a velocità maggiore rispetto alle goccioline ancora presenti; in tal modo “urta” altre goccioline che solidificano istantaneamente al chicco (processo di accrezione).
Questi processi all’interno della nube continuano ed i chicchi rimarranno sospesi tanto più a lungo quanto più intense saranno le correnti ascensionali in grado di sostenerli, fin quando non cadranno per il peso eccessivo.
Ecco quindi che grossi chicchi di grandine presuppongono l’esistenza di correnti ascensionali fortissime in grado di sostenerli entro la nube.
Il chicco di grandine è strutturato “a cipolla”, se sezionato, con strati concentrici opachi e trasparenti.
Tali strati non sono dovuti a ricircolo all’interno della nube come si ipotizzava fino a non molti anni fa, ma all’abbondanza o meno di acqua sopraffusa.
Abbondante acqua sopraffusa rilascia molto calore latente e il congelamento avviene lentamente e ordinatamente originando strati trasparenti.
Scarsa acqua sopraffusa rilascia poco calore latente; il congelamento avviene velocemente e in maniera caotica dando luogo a strati opachi.
La formazione della grandine è molto rapida. In circa 20-30 minuti dalla formazione della nube temporalesca si può avere grandine al suolo; le fasi sono due:
Primo stadio (lento): formazione dell’embrione
Secondo stadio (rapido): crescita del chicco
L’embrione, essendo piccolo (< 0.5 cm), può restare sospeso a lungo nelle nubi o passare da una nube all’altra.
La crescita del chicco (che lo porterà al suolo) avviene quando l’embrione incontra molta acqua sopraffusa.
I chicchi portano con sè informazioni sull’ambiente ove sono cresciuti:
Forma sferica indica rotazione del chicco durante la caduta I chicchi più grossi sono generalmente irregolari
I lobi indicano sovrabbondanza di acqua sopraffusa.
Insomma come si può vedere il processo di formazione della grandine è un poco complesso ed è stato compreso quasi perfettamente solo negli ultimi 15-20 anni.
Normalmente i rovesci di grandine si organizzano lungo fasce sovente ristrette che corrispondono alle più intense raffiche di vento in discesa dalla nube temporalesca, ed ecco perchè i danni possono essere sensibilmente diversificati anche a pochi km centinaia di metri di distanza.
Grandinate con chicchi di dimensioni superiori a 3/5 cm sono di norma associate a temporali cosiddetti a supercella, ovvero intensi sistemi che sono dotati di moto rotatorio e che in casi estremi possono produrre tornado.
È il caso della grandinata del 5 settembre sull’imolese, colpito da un temporale a supercella.
Nel pomeriggio del giorno 5 si è avuto l’avvento di masse d’aria fredda in quota proveniente da NW con l’isoterma -15°C sul piano isobarico di 500 hPa su Romagna.
Aria fredda in quota che affluisce su aria più calda ed umida presente nei bassi strati implica sempre moderata-forte instabilità atmosferica.
L’aria fredda era pilotata da un flusso di correnti nordoccidentali indotte dalla presenza di un vortice di bassa pressione su Europa orientale.
Nei bassi strati era inoltre presente un flusso di correnti calde ma soprattutto molto umide che da ESE entravano dal mare Adriatico. Aria molto umida e calda rappresenta sempre un’ottima alimentazione di energia che la macchina temporalesca può sfruttare.
Tale flusso andava poi a convergere con correnti da SW più secche attive sull’Appennino e provenienti dalla Toscana (dry-line); la convergenza di masse d’aria aventi diverse caratteristiche nei bassi strati facilita notevolmente l’innesco dei moti convettivi come detto nella parte introduttiva.
Infine si ebbe un rinforzo dei venti alle alte quote ( con incremento del windshear) che favorì la struttura inclinata delle celle temporalesche (favorevoli alla genesi di grandinate).
Sebbene la dinamica meriti trattazione più approfondita ci limitiamo ad evidenziarne gli aspetti essenziali per non appesantire troppo il lettore.
In ogni caso quel pomeriggio erano presenti tutti gli ingredienti “base” per l’innesco di attività temporalesca anche severa: forti correnti ad alta quota con elevata vorticità; arrivo di aria fredda e secca alle quote medie; convergenza di venti aventi diverse direzioni e proprietà nei bassi strati; aria umida nei bassi strati; windshear verticale positivo nel campo del vento.
Nell’immagine in alto a sinistra la devastazione di un Vigneto in zona San Prospero.
Articolo di Pierluigi Randi,
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