Francis, Ivan, ecc. : hanno nomi talora anche molto belli ma in realtà sono delle entità devastanti. Ma in realtà conosciamo la storia degli Uragani? Scopriamo il loro particolare viaggio.
Non è certamente raro sentire parlare di uragani che devastano le zone dei Carabi oppure flagellano le coste degli Stati Uniti meridionali. Fa parte della normalità che si formino e che scarichino la loro furia grosso modo sempre nelle stesse zone. Forse non è normale che in una annata come questa, siano invece frequentemente così forti, vero è che di uragani di scala 4 o addirittura 5 (la massima prevista) se ne sono visti numericamente molti. Ma non è questo il tema del nostro incontro di oggi, infatti andremo a curiosare sulla storia di un uragano, dove nasce, che percorso fa, dove muore.
Sembrerà strano ma il nostro viaggio inizia sulle coste occidentali dell’Africa centrale. Così lontano? Ebbene si: un normalissimo temporale si è abbattuto su quelle zone. Voi direte, cosa c’entra? C’entra eccome, infatti seguendo questo innocuo o quasi temporale scopriamo che comincia a muoversi verso il largo dell’Oceano. Innanzitutto dobbiamo sapere un cosa: le correnti, che alle nostre latitudini scorrono mediamente da ovest verso est, a quelle latitudini si comportano all’opposto, viaggiando perciò da est verso ovest.
Il nostro temporale dunque comincia il suo viaggio verso est e immagazinando il calore del mare, che funge da “carburante” comincia ad assumere i connotati di una depressione. Il mare è essenziale per la formazione di queste strutture e tanto e più caldo, tanto sarà maggiore l’apporto di calore e perciò di combustibile per lo sviluppo della depressione. Il mare è molto caldo e piano piano la depressione si ingrossa fino a divenire a metà del suo viaggio una tempesta tropicale.
Poi cosa succede? Lo sviluppo del ciclone potrebbe terminare qui mantenendosi perciò con i connotati di tempesta tropicale, ma avvicinandosi ai Carabi la temperatura dell’acqua continua a salire. Se la forte depressione incontrerà un tratto di mare non inferiore a 500 chilometri con temperatura costantemente almeno di 27 gradi allora troverà quanto necessario per fare l’ultimo salto e divenire Uragano.
In effetti in quelle zone il mare mediamente è molto caldo e dunque ecco perché ciclicamente gli uragani si abbattono in quelle zone. Poi continuano il loro viaggio e raggiungono le coste degli Stati Uniti. Sulle coste sono ancora al massimo o quasi della loro intensità, poi trovando la terra ferma tendono poco alla volta a perdere di potenza tornando ad essere “declassati” in tempeste tropicali.
Il percorso può a questo punto avere un paio di possibili destinazioni. Se il viaggio continua verso l’interno la cellula andrà incontro ad un graduale dissolvimento, mentre se il contatto con la terraferma non è estremamente lungo e la depressione può fare in tempo a riportarsi sull’Oceano Atlantico non si dissolverà. A questo punto il viaggio continua, ma siccome ci troviamo a latitudini più elevate e soprattutto l’acqua dell’Atlantico in queste zone è nettamente più fredda ecco allora che il carburante che viene attinto serve appena alla sopravvivenza della depressione.
Però se osserviamo bene la carta scopriremo che si tratta di una classica depressione atlantica, di quelle cioè che pilotano la classica perturbazione di normale intensità che spesso e volentieri raggiunge il continente europeo. Lungo il viaggio vero?
Gli unici episodi degni di nota sono stati alcuni TLC originatisi in passato (alcuni dei quali non lo erano neppure nonostante qualche avventata certificazione). Il Mediterraneo non potrà mai essere sede di uragani, neppure se elevassimo la temperatura superficiale a livelli ben superiori a quelli raggiunti nel 2003.
Non basta una pozzanghera calda per generare un uragano, questa pozzanghera deve avere un lato di almeno 300 km per poter pensare di innescare un uragano e almeno 3 volte tanto per sperare di poterlo fare evolvere.
Tanta acqua calda nel Mediterraneo non c’è. Per generare un uragano occorre una tropopausa un pochettino più alta di quella che abbiamo noi, diciamo di circa 5000 metri se bastano, così raggiungere temperature di circa -80 gradi in estate per riuscire a sostenere un gradiente termico con il suolo degno d’esse chiamato tale. Noi si arriva a fatica a -55° / -60°.
Normalmente un aiuto dinamico per l’innesco serve, nella fascia intertropicale si hanno omega vagamente negative ad opera della circolazione di Hadley (ad eccezione delle aree in cui la SOI ne inverte la circolazione) che aspira dal suolo aria per ricacciarla in catabasi 10-20 gradi di latitudine più a nord e a sud.
Noi, quando si raggiungono temperature superficiali in Mediterraneo prossime ai 30°, abbiamo promontori dinamici africani che avvitano aria verso il basso senza troppi complimenti. E nemmeno allo sblocco sarebbe possibile, giacchè l’atmosfera diviene baroclina in men che non si dica, e l’avvezione legata alle figure sinottiche cambia l’aria presente e si parte con depressioni di tipo freddo.
Per sostenere un uragano occorre la liberazione in seno alla deep convection di enormi quantità di calore latente di condensazione con risultato di un enorme raffreddamento diabatico che ripristina poi l’equilibrio. Un uragano, tifone o similari è una warm core low, una depressione ad innesco e a matrice calda. Per mantenerla in piedi occorre aria umida a tutte le quote, quasi satura.
Da noi, quando si raggiungono temperature simili si hanno promontori africani che sono caratterizzati da aria secca ad eccezione del boundary layer che si umidifica per induzione. Anche in caso di prolungamento del periodo caldo il riscaldamento del boundary layer non si traduce in un riscaldamento di tutta la massa d’aria sovrastante giacchè le masse d’aria seguono i campi isoentropici, cioè trasferiscono calore da zone a temperatura potenziale più alta ad altre dove è più bassa.
E la temperatura potenziale aumenta con la quota, non diminuisce. Quindi la natura calda dello strato superficiale ha scarsi effetti su quello sovrastante impedendo la genesi di eccessi di calore trasmurali con possibile innesco di warm core low. Per l’innesco aiuta avere correnti orientali in media e alta troposfera, aiuta avere anche una certa divergenza in prossimità del transito delle onde di kelvin.
Qui non abbiamo correnti orientali in media e alta troposfera, non abbiamo transiti di onde di kelvin, non abbiamo ITCZ e non le vediamo nemmeno con il binocolo. Nel 2003 lessi in qualche forum (non qui se non ricordo male) che l’ITCZ in agosto correva sul basso Mediterraneo. Quando si afferma che un ITCZ è sul Mediterraneo o nei paraggi, si afferma che il tropico passa più o meno a nord di Londra o addirittura in Islanda e noi siamo in piene easterlies.
Ovvio che la cella di Ferrel e quella Polare non potrebbero esistere. Esisterebbe un unico cellone di Hadley che risulterebbe eccessivamente baroclino per poter restare in equilibrio dinamico più di un ora. Affermare che abbiamo una fascia intertropicale di convergenza nelle prossimità della nostra testa è un po un abominio. Dunque possiamo dormire sonni tranquillissimi.