Con l’avanzare della stagione autunnale e soprattutto nel successivo periodo invernale foschie e nebbie divengono più frequenti sulle pianure, nei fondovalle e nelle conche collinari: sono la conseguenza delle cosiddette inversioni termiche, vale a dire strati di aria più fredda presenti al suolo e posti al di sotto di strati di aria con temperatura più elevata.

Essendo oramai esaurito il moderato afflusso di aria fredda nei bassi strati giunto nei giorni scorsi da nord-est, in queste ore alle quote superiori le temperature sono in aumento, sia per la presenza di un’alta pressione dinamica che per una lieve avvezione di aria sub-tropicale mite, mentre negli strati più vicini al suolo l’aria fredda, più densa, tende a permanere stratificandosi.

In sostanza: recente afflusso di aria fredda nei bassi strati + avvezione mite in quota + alta pressione in consolidamento rappresentano le condizioni ideali per lo strutturarsi di inversioni termiche nelle zone pianeggianti.

Si tratta di un fenomeno che si manifesta particolarmente nel semestre freddo (anche se nelle pianure del nord Italia può occorrere in qualsiasi periodo dell’anno), quando può persistere anche nelle ore diurne a causa dell’insufficiente radiazione solare per attivare scambi verticali dell’aria (in realtà questa evenienza è tipica del periodo invernale, o quantomeno a partire dal mese di novembre relativamente alla Pianura Padana).

Così nelle notti serene invernali il gelo e la brina possono frequentemente caratterizzare il tempo dei fondovalle o delle pianure con condizioni di clima assai rigido, mentre magari a poche centinaia di metri di altezza possono riscontrarsi temperature anche gradevoli (specie se in concomitanza alla presenza di alte pressioni dinamiche) e con valori termici non di rado ben al di sopra dello zero.

 

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Tipico esempio di inversione termica con formazione di nebbia nel fondovalle.

Cosa è un’inversione termica?

Come accennato nell’introduzione nel corso del semestre freddo non è infrequente rilevare temperature più elevate sui pendii collinari e montani e decisamente più basse nei fondovalle e nelle aree pianura; non è pertanto un errore trovare in un bollettino meteorologico o durante la consultazione di dati real-time, temperature più basse in località poste a quote più basse e dove di norma ci dovremmo attendere valori più elevati, specialmente quando sono presenti vaste aree di alte pressioni in grado di determinare notti serene, con poco vento o calme assolute.

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Schema semplificato del fenomeno dell’inversione termica notturna. Fonte: COMET met-ed

Il fenomeno dell’inversione termica si manifesta in maniera più significativa a partire da inizio autunno e tende ad accentuarsi nel periodo invernale, per tornare gradualmente ad arrestarsi nel corso dei mesi primaverili. In realtà anche il periodo estivo non è esente da tale fenomeno, ma in genere ha bassa incidenza e su aree territoriali abbastanza ristrette.

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Nebbie da irraggiamento che occupano l’intera Pianura Padana fino alla costa adriatica. Fonte: www.muk.uni-hannover.de

In presenza di inversione termica, dunque, il profilo termico verticale dell’atmosfera evidenzia un innalzamento della temperatura salendo di quota e questo andrebbe contro il generale assunto secondo il quale la temperatura dell’aria scende salendo di quota (il già citato gradiente termico verticale medio); tale fenomeno si può verificare al suolo, ma talora anche a livelli intermedi dopo alcuni spessori senza inversione.

L’inversione termica al suolo si forma in presenza di cielo sereno e preferibilmente con venti deboli (in genere <5 km/h) in periodi in cui si abbia il predominio di alte pressioni. Soprattutto dopo il tramonto si verifica un veloce raffreddamento del suolo per perdita di calore verso lo spazio tramite irraggiamento radiativo, ed in seguito questo raffreddamento si propaga agli strati d’aria immediatamente sovrastanti.

L’aria fredda che si forma e ristagna nelle adiacenze del suolo a causa delle inversioni (in assenza di moti verticali ascendenti) è più densa e pesante di quella calda sovrastante e tende a rimanere intrappolata verso il basso. In condizioni di scarsa circolazione (tipiche delle alte pressioni) tende a formarsi uno strato d’aria più freddo spesso fino ad alcune decine di metri o nei casi più accentuati fino anche a 300-600 m, che tende a rimanere stazionario, almeno fino a quando non intervengano fattori sufficienti a rimuovere o dissolvere l’inversione (ad esempio la radiazione solare diurna con riscaldamento del suolo, l’arrivo di un fronte o l’attivazione di correnti sinottiche di una certa entità atte a rimescolare gli strati d’aria posti a bassa quota).

 

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Radiosondaggio ore 00z dell’1/9/2009 di San Pietro Capofiume (BO). Elaborazione RAOB tool

Nell’immagine sopra è riportato, come esempio, un classico radiosondaggio (SP. Capofiume, Bologna) che evidenzia la presenza di un’inversione termica con base al suolo. È il primo settembre 2009 alle ore 00z (02 locali), pertanto ci troviamo all’inizio dell’autunno meteorologico. La curva rossa rappresenta il profilo termico verticale (temperature ai vari livelli troposferici) ed essa mostra un andamento verticale caratterizzato da valori in aumento salendo di quota dal suolo fino a 198 m AGL (pari a 236 mslm).

Infatti si hanno 17.6°C al suolo (38 mslm) e 23.6°C a 236 m dove è presente il limite superiore dell’inversione (indicata nel tool di analisi RAOB con radiation inversion), quindi nei primi 236 m si ha una differenza termica di ben 6°C ad indicare una ben strutturata inversione termica.

Oltre quella quota la temperatura torna a diminuire obbedendo alla normale evoluzione del profilo termico verticale in libera atmosfera (si tralasciano in questo caso altre due inversioni presenti nel radiosondaggio indicate come subsidence inversion, dovute queste alla presenza di alte pressioni).

Sono gli effetti del raffreddamento dei bassi strati a causa dell’irraggiamento radiativo in condizioni di cielo completamente sereno e con venti molto deboli o assenti (rilevabili dai vettori posti alle varie quote sulla destra del diagramma).
Anche la curva blu tratteggiata, che rappresenta l’andamento verticale della temperatura di rugiada (dew-point), rivela la formazione di una buona inversione termica. Infatti il raffreddamento radiativo implica, in assenza di forzanti esterne, un aumento dell’umidità relativa che sarà più consistente laddove la temperatura diminuisca in maniera più sensibile.

Quando la curva rossa (temperatura) e quella blu (dew-point) sono assai ravvicinate avremo aria molto umida; quando esse sono distanziate avremo aria più o meno secca; in caso di aria satura le due curve coincidono. Ebbene si vede come in prossimità del suolo le due curve siano molto ravvicinate a rivelare aria alquanto umida, mentre sul limite superiore dell’inversione esse risultino piuttosto distanziate, evidenziando la presenza di aria più calda ma anche più secca.

Infatti al suolo abbiamo, come visto prima, una temperatura alle 00z di 17.6°C ed un valore di dew-point di 14.3°C che è abbastanza vicino (umidità relativa dell’81%); se nel corso della notte i due valori fossero divenuti all’incirca coincidenti avremmo visto formarsi la nebbia.
Sul limite dell’inversione i valori sono decisamente diversi: 23.6°C di temperatura con dew-point a 5.6°C (umidità relativa del 31%), insomma aria più calda e secca.

Talvolta l’azione della radiazione solare diurna, nel periodo più freddo (inverno), è insufficiente ad attivare sia il necessario rimescolamento dell’aria, sia riscaldamento del suolo, in modo tale da consentire la rimozione dell’inerte strato freddo al suolo; ecco perché in estate la presenza dell’inversione termica è in genere limitata alle ore notturne, anzi a volte essa si struttura solo nella seconda parte della nottata.

Le aree territoriali che favoriscono l’innesco dell’inversione termica e la permanenza di uno strato di aria fredda al suolo sono le pianure, i fondovalle, le conche appenniniche; ad esempio in Italia l’intera Pianura Padana è spesso sede di solide inversioni termiche nel semestre freddo, ma anche le pianure chiuse del centro e sud Italia, nonché le conche appenniniche, sebbene con minore frequenza e per periodi più brevi.

L’inversione termica può essere individuata anche solo sotto il profilo visivo per la formazione di dense foschie, caligini o nebbie.

Anzi, la nebbia è il fenomeno che per eccellenza viene indotto dalla formazione di robuste inversioni, o quantomeno le nebbie cosiddette “da irraggiamento” (tipiche delle pianure come quella padana).

Anche i fumi delle ciminiere, ad esempio,  rivelano la presenza di inversioni più o meno robuste quando la colonna di fumo non riesce ad innalzarsi verso l’alto o quando si appiattisce a pochi metri di altezza dal suolo formando una banda di fumo ad asse orizzontale, come schematizzato nella figura seguente.

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Comportamento dei fumi in caso di inversione termica notturna con base al suolo (Fanning): Fonte: NOAA.gov

Dato che in queste condizioni la dispersione verticale è praticamente nulla a causa della solida stabilità, è possibile che la banda di fumo proveniente dalla ciminiera arrivi anche a molti chilometri di distanza quasi con la stessa concentrazione che aveva all’origine, e la direzione di espansione della colonna orizzontale è di norma vincolata alla presenza di deboli correnti dovute alla circolazione locale o comunque alla mesoscala.

Molto spesso l’inversione può provocare differenze termiche molto sensibili anche in poche decine di metri; ad esempio in presenza di alte pressioni dinamiche (caratterizzate da aria calda o comunque mite su tutto lo spessore troposferico) che sopraggiungono dopo un irruzione fredda, sui pendii collinari o montani la temperatura può salire anche di 10 gradi oltre i valori rilevati nei fondovalle o sulle pianure adiacenti, dove si registrano valori assai più bassi con possibile presenza di brinate o gelate estese (es. dicembre 2009).

Insomma possiamo immaginare l’inversione termica come una specie di “coperchio” invisibile che chiude ermeticamente una ipotetica pentola (in questo caso gli strati atmosferici prossimi al suolo) limitando ogni forma di dispersione verticale, favorendo il ristagno di aria nei bassi strati e raffreddando sensibilmente le nostre pianure.

Tant’è che sono proprio le inversioni termiche che favoriscono l’intrappolamento nei bassi strati delle sostanze inquinanti prodotte dalle attività umane (traffico, industrie, riscaldamenti domestici, etc), rendendo le città della Pianura Padana quasi invivibili, specie se si arriva alla formazione di smog (la classica nebbia “inquinata”) e se le condizioni anticicloniche persistono per molti giorni (casi classici: inverni 1988-1989 e 1989-1990).

Attenzione quindi ai prossimi mesi: il fenomeno potrebbe divenire all’ordine del giorno, specie qualora dovessimo affrontare un semestre freddo con predominio di alte pressioni.

 

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Tipica situazione di smog. Fonte: NOAA.gov

P. Randi