20 agosto due supercelle in Emilia: nessun tornado ma danni notevoli

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Luciano Padovani da Spilamberto (Modena)

Nel pomeriggio del 20 agosto la pianura emiliana è venuta nuovamente a trovarsi in condizioni di tempo severo, come ogni tanto accade, con lo sviluppo, nel tardo pomeriggio di due temporali a supercella, ovvero quei sistemi convettivi caratterizzati da una rotazione al loro interno che li fanno apparire come enormi trottole foriere di intense precipitazioni, con chicchi di grandine di grosse dimensioni, forti venti ed in qualche caso di tornado (come accadde ad esempio il 3 maggio 2013).

Fortunatamente nel pomeriggio in questione non si è avuta la formazione di tornado (o trombe d’aria che sono la stessa cosa), ma di questo parleremo in seguito.

La supercella è in assoluto il temporale più potenzialmente pericoloso fra tutti quelli esistenti: la caratteristica che lo distingue dagli altri è la presenza di una corrente ascensionale (updraft) in rotazione, ovvero di un mesociclone favorito dalla presenza di elevato windshear ambientale, sia in velocità che in direzione (ovvero i venti cambiano bruscamente salendo di quota e su piccole distanze orizzontali).

Le supercelle non sono fenomeni particolarmente frequenti da noi e non di rado il loro numero viene sovrastimato qualora si manifestino temporali violenti, tali da destare notevole impressione all’osservatore di turno.

Infatti per poter definire un temporale a supercella devono essere soddisfatte diverse condizioni:

– circolazione mesociclonica per almeno 1/3 della profondità dell’updraft.

– durata della circolazione dell’ordine di almeno 10-20 minuti.

– vorticità uguale o superiore ai 10-2 s-1.

 

Sotto i forti venti di Downburst a Castelnuovo Rangone, foto Angelo Nacchio

Si può calcolare la vorticità verticale conoscendo la differenza tra i picchi opposti di velocità radiali e la distanza tra essi, naturalmente servendoci del radar doppler.

Insomma, la particolare densità di temporali a supercella che sembrano imperversare ad ogni fase instabile sulla nostra penisola è decisamente sovrastimata, poiché non sempre si è a conoscenza delle caratteristiche fondamentali che devono possedere queste tempeste per essere definite tali.

Si tratta di fenomeni “alla mesoscala”, in parole povere a scala ridotta, che non sempre sono ben prevedibili, particolarmente sul nostro territorio orograficamente complesso e con dinamiche nei bassi strati più uniche che rare. Inoltre, più un fenomeno presenta ridotta estensione e durata più è difficile da prevedere, anche se ci sono situazioni nelle quali il compito è meno ostico.

Un “riassunto” di ciò che accade prima e durante l’innesco di un temporale a supercella è sintetizzato nella figura sottostante.

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Schema di formazione dei mesocicloni. Fonte: COMET Met-Ed

I mesocicloni sono vortici ad asse orizzontale causati da elevato speed e directional windshear troposferico (brusca variazione del vento in velocità e direzione con la quota). Il tilting dovuto alla corrente ascensionale (updraft) che va a costituire la supercella tramuta i vortici ad asse orizzontale in vortici ad asse verticale. Lo stretching (allungamento) derivato dai forti updraft estende in altezza il mesociclone facendolo ruotare su se stesso sempre più velocemente (effetto pattinatore che raccoglie le braccia e ruota più velocemente).

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Alex Castelli da Bologna

Fortunatamente non tutte le supercelle od i mesocicloni innescano tornado; pochi lo fanno e pochissimi producono tornado severi.

In ogni caso la struttura delle due celle convettive sviluppatesi in Emilia nel pomeriggio del 20 agosto non lasciano adito a dubbi, e si è trattato di due supercelle in piena regola con i relativi effetti al suolo.

Nel caso specifico esse sono state di tipo “prefrontale”, ovvero davanti ed a debita distanza da un fronte freddo in avanzamento da ovest in seno al transito di un’ampia saccatura in quota proveniente dalla Francia.

Ma a volte è proprio in queste condizioni che si possono sviluppare tempeste isolate (e quindi non le classiche linee frontali costituite da numerose celle) ma assai violente, poiché è proprio davanti ad un fronte freddo avanzante che il profilo verticale del vento è particolarmente incline a generare circolazioni mesocicloniche (rotazione oraria del vento con la quota e concomitante aumento della velocità). Tuttavia, come quasi sempre accade sul nostro territorio, è nei bassi strati che si sono concatenate una serie di forzanti decisive.

Infatti un primo sistema temporalesco ben a nord del Po, ha attivato una corrente di outflow (aria fredda in uscita dal temporale) in avanzamento verso sud (linea e frecce blu in figura sotto), la quale è andata a convergere con una tipica dry-line di origine appenninica (fronte di aria calda e secca dovuto a flussi da SW in discesa dall’Appennino, linea e frecce arancio), ed infine con una corrente marittima, assai umida, in rientro da est attraverso il settore orientale della regione (frecce verdi).

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Immagine sat nel canale del visibile ore 14.50 locali. Fonte: Sar24.com

L’appuntamento tra queste masse d’aria, assai diverse tra loro, è avvenuto proprio in Emilia, condizionando pertanto il profilo dei venti in direzione nei bassi strati al quale si è sovrapposto un profilo caratterizzato da aumento di velocità con la quota. Un tracciato odografico, ovvero una rappresentazione ortogonale del profilo verticale del vento, sia pure in previsione, era abbastanza eloquente, con andamento “curvo” nei bassi strati, e “stirato” alle quote superiori.

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Odografo previsto su Bologna alle ore 15.00 UTC. Fonte: WRF meteonetwork

Dal tracciato è bene evidente come il profilo verticale del vento su Bologna, sia pure previsto, mostri un andamento curvo nei bassi strati (curva rossa nel riquadro in alto a sinistra), e molto stirato alle quote superiori (curva rossa nel riquadro in altro a destra). Ciò significa che il vento ha una rotazione alquanto decisa negli strati troposferici inferiori, mentre a quelli più elevati esso aumenta rapidamente in velocità. In letteratura (Weisman e Klemp, 1986)un odografo contemporaneamente curvo e stirato è classico da supercelle “right moving” ovvero che tendono a deviare verso destra rispetto al vento medio troposferico (vettore blu orientato verso sud-est nell’odografo).

Una condizione, questa, che non di rado si presenta in Emilia, con temporali severi che tendono ad innescarsi lungo il fronte secco (dry-line) come da schema sottostante (semplificato).

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Tipico modello di circolazione alla mesoscala incline a generare supercelle in Emilia. Fonte: P. Randi

Infatti, intorno alle 16,00 circa, due isolati sistemi a supercella si sono innescati tra piacentino e parmense e tra modenese e bolognese, entrambi in evoluzione all’incirca verso levante.

I fenomeni associati sono stati vistosi: grossi chicchi di grandine e forti venti, come quasi sempre accade in queste circostanze. Non si sono invece formati tornado, o, quantomeno, non se ne ha notizia. Le aree interessate dai fenomeni non sono in genere particolarmente estese, ma localmente possono essere soggette a danni di rilievo.

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Coppia di supercelle in Emilia nel pomeriggio del 20 agosto 2016. Fonte: composito radar ARPAE

Pur non trattandosi di una immagine ad elevata risoluzione si possono notare le tipiche strutture da supercella, con V-notch evidenti, hook-eco (eco ad uncino), FFD ed RFD, e ben distinte tra loro.

Una volta che esse sono giunte in zone ove le condizioni ambientali non erano più favorevoli si sono rapidamente dissolte: quella più occidentale, entrando in una zona già interessata dalla prima, la quale aveva già consumato tutto il potenziale disponibile, e quella bolognese entrando una regione nella quale è venuto a mancare il necessario windshear di basso livello (alle porte della Romagna ove prevaleva unicamente un flusso orientale peraltro associato a valori di energia convettiva potenziale disponibile assai più bassi).

Sotto le foto di Michele Sensi nel reggiano dopo il forte temporale

Ma veniamo al dunque: sempre più spesso i mezzi di informazione classificano come tornado (trombe d’aria) qualsiasi evento che determini forti venti e produca danni materiali, ma il più delle volte così non è. Certamente si tratta di dettagli tecnici e poco importanti sotto il profilo pratico, dal momento che per chi ha avuto le abitazioni lesionate poco cambia che si sia trattato di un tornado o meno. Tuttavia, così come in altri campi, ogni casa deve essere chiamata col proprio nome: un emiliano tenderebbe ad inferocirsi se i tortellini fossero chiamati cappelletti; viceversa per un romagnolo; anche se sono deliziosi entrambi.

In realtà gli eventi che hanno determinato i danni da vento nelle giornate del 19 e del 20 agosto, sono entrambi riconducibili a raffiche di downburst (di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo), ovvero fortissimi venti lineari e con una forte componente diretta dall’alto verso il basso (anche se la direzione può leggermente oscillare intorno ad una direzione media con l’evolvere del sistema temporalesco) che non di rado superano i 120-130 km/h e talvolta anche oltre, i quali si riversano al suolo con estrema violenza, determinando un repentino aumento della pressione ed un calo della temperatura. Inoltre può interessare aree molto estese, anche di diversi chilometri quadrati.

Foto Ernesto Maria. Alcuni alberi caduti ieri sulla Provinciale tra Cà di Sola e Solignano nel comune di Castelvetro di Modena. La strada è stata in seguito liberata grazie all’intervento di cittadini muniti di motosega e trattore.

Ma il tornado (sinonimo di tromba d’aria) è un fenomeno completamente diverso, sia come caratteristiche che come dinamiche: al suo interno l’aria viene richiamata verso l’alto, essa è generalmente calda e umida, determina un forte calo della pressione e non aumento ,e si estende per qualche decina o centinaio di metri e non per chilometri.

Paradossalmente, ma fino ad un certo punto, è in grado di provocare più danni un downburst rispetto ad un tornado; quindi il fatto che non si tratti di un tornado non deve essere inteso come lo sminuire un evento, anzi; ed i downburst sono molto più frequenti dei tornado, poichè per essi non serve necessariamente un temporale a supercella.

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Supercella nel reggiano, foto Nicola Pirondini

Non abbiamo però un corrispettivo in italiano del termine downburst, che tradotto sarebbe “scoppio giù”, quindi nemmeno troppo accattivante o associabile ad un forte temporale. Potremmo dire “cascata di vento” poichè l’effetto è proprio quello di una cascata, ma forse l’accademia della crusca avrebbe qualcosa ad eccepire (ma se è passato “petaloso”, chissà).

A volte però i termini inglesi quelli sono e quelli rimangono: nessuno infatti si lamenta del fatto che il “pop corn” non si chiami “mais che esplode”; lo si fa proprio, così come altri termini in inglese, e amen, senza per forza cercare un corrispettivo in italiano.

Sotto i pesantissimi danni nella zona di Castelnuovo Rangone immortalati da Micheal Malaguti

In ogni caso ricordiamoci: se non viene accertato, o visivamente o in base ai danni provocati, la presenza di un moto vorticoso, meglio con una nube ad imbuto o proboscide visibile, non possiamo parlare di tornado ma piuttosto di downburst o, se vogliamo, “cascata di vento” o qualcosa di simile. Ma tornado (o tromba d’aria) sono un’altra cosa.

Perchè i tortellini non sono cappelletti, ed i cappelletti non sono tortellini.

Buon appetito comunque.