In occasione delle recenti giornate temporalesche, che si sono manifestate in varie zone della regione, non sono mancate locali e violente raffiche di vento che in qualche circostanza hanno provocato danni materiali di una certa consistenza.
Ed ecco che numerosi organi di informazione hanno colto l’occasione, in sede di cronaca, per attribuire alle trombe d’aria gli effetti di tali forme di violenza atmosferica.
Ma in realtà molto raramente le trombe d’aria sono le vere responsabili; molto più spesso si tratta di un altro tipo di fenomeno, che però può essere parimenti se non ancora più pericoloso.
Su tornado o trombe d’aria si rimanda ad ulteriori futuri approfondimenti, ma una prima distinzione si rende necessaria fin da subito: per parlare a ragion veduta di tromba d’aria o tornado deve essere accertato il moto vorticoso dei venti, meglio se visivamente si riesce a scorgere la classica formazione ad imbuto, fune o cilindro che si staglia dalla base della nube e tocca il suolo.
Viceversa, anche in presenza di venti particolarmente violenti ed in grado di causare gravi danni ma che non mostrano andamento vorticoso, dobbiamo fare riferimento ad un altro tipo di fenomeno.

Nel periodo estivo, specie in seguito ad significativi periodi caldi ed afosi, non è infrequente la genesi di importanti outbreak temporaleschi in vaste aree della pianura padana e di riflesso anche sulla nostra regione.
Il temporale porta con sé diverse tipologie di vento, alcune delle quali davvero pericolose:

Gust front ed outflow
Downdraft e downburst
Landspout e waterspout
Tornado

Questi nomi possono apparire poco familiari ma vediamo di fare un minimo di chiarezza:
Nel temporale allo stadio di massima intensità convivono correnti ascendenti e discendenti; le correnti ascendenti, una volta giunte a grandi quote, a causa del calore liberato nella fase di condensazione, si raffreddano notevolmente, diventando così più pesanti dell’aria circostante, e precipitano.
Infatti una massa d’aria fredda, immersa in una zona dove l’aria è più calda, tende a scendere verso il basso perché il suo peso specifico è maggiore della spinta verso l’alto che essa riceve: la massa d’aria quindi scende proprio come un sasso immerso nell’acqua.

Nascono così le correnti discendenti, denominate downdraft, all’interno delle quali l’aria è più secca; ne consegue che, nella stagione calda, a quote tra i 3500 e i 5000 metri circa parte delle goccioline sopraffuse, cioè allo stato liquido pur con temperature ambientali dell’ordine dei -10°C o anche inferiori, evaporano in quanto scendendo trovano strati d’aria sempre più caldi e talora anche secchi.

Il fenomeno dell’evaporazione porta al raffreddamento della massa d’aria in cui si trovano queste goccioline, pertanto l’aria fredda della corrente discendente si raffredda ancor di più, dato che essa fornisce il calore latente di evaporazione necessario affinché avvenga il passaggio di stato, accelerando così il suo moto di discesa e raggiungendo le massime velocità proprio in prossimità del suolo, aprendosi a ventaglio e propagandosi orizzontalmente in maniera turbinosa, con annesso aumento della pressione.

Questo ultimo stadio rappresenta la corrente fredda chiamata outflow che costituisce il gust front di un temporale, meglio conosciuto come “linea dei groppi” o “fronte delle raffiche”: si propaga per 5-10 km soprattutto nella direzione di spostamento del temporale, precedendone l’arrivo di 5-15 minuti.
Questi venti freddi, rafficosi ed accompagnati da forti precipitazioni, possono raggiungere 70-80 km/h di velocità.

Il downburst in pratica identifica un forte downdraft, ovvero una colonna d’aria in discesa particolarmente rapida che incontra la superficie del suolo più o meno perpendicolarmente e che si espande orizzontalmente in tutte le direzioni.
La violenta espansione, paragonabile ad un improvviso scoppio (burst), spesso produce un vortice rotante ad asse orizzontale entro il quale troviamo campi di vento ravvicinati fra di loro, ad elevata velocità e di opposte direzioni poiché l’updraft (corrente ascensionale calda) che ancora è vigoroso ed entra in un temporale nella fase di massima intensità, ed i forti venti legati al downburst vengono quasi a contatto.
Solo nella fase di senescenza della cella temporalesca la componente di vento legata all’aria fredda in discesa tende a prendere il sopravvento.

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Downburst su lughese 11 agosto 2005. Foto di P. Randi

Il downburst è un fenomeno davvero molto pericoloso: le raffiche possono superare i 100 km/h con forte componente diretta dall’alto verso il basso, specie se la cella temporalesca è prossima alla nostra verticale.
I downburst si suddividono in dry-downburst, quando la maggior parte delle precipitazioni evapora nell’aria secca sottostante la base della nube, ed in wet-downburst, quando buona parte delle precipitazioni giungono al suolo. Le raffiche di vento possono raggiungere anche i 120-140 km/h arrecando danni ingenti alle infrastrutture, e nei temporali che colpiscono le nostre regioni sono meno rari di quanto si pensi.
Peraltro i dry-downburst, nonostante siano accompagnati da piogge molto scarse se non assenti, possono determinare venti ancora più violenti a causa della maggior quantità di precipitazioni che evaporano nell’aria secca sottostante la nube, raffreddando l’ambiente ancora più sensibilmente.
I wet-downburst, dal canto loro, determinano scarsa o talvolta quasi nulla visibilità a causa delle forti precipitazioni trasportate quasi orizzontalmente dal vento, e che possono fuoriuscire per alcuni km dalla base del temporale, rappresentando un serio pericolo per la viabilità.
Esiste una seconda distinzione che caratterizza questa tipologia di fenomeno, ovvero “downburst” e “microburst”, ma questa verrà trattata a parte in una prossima occasione.

Visivamente gli stadi che conducono all’occorrere di un downburst, avendo al fortuna di essere a debita distanza e di usufruire di una sufficiente visibilità, sono schematizzati nella seguente serie di immagini:

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Sequenza temporale di un wet downburst. Immagini di Michael Smith

Dalla sequenza delle immagini (partendo dalla prima in alto a sinistra) si può notare come un downburst osservato a debita distanza somigli ad una vera e propria cascata di pioggia e/o grandine, o se vogliamo ad un gigantesco “splash” (in questo caso si tratta di wet downburst).

In particolare nella specie di “ricciolo” che si nota nell’estremità sinistra della cortina di pioggia e grandine i venti, oltre che particolarmente violenti, possono avere un elevatissimo fattore di turbolenza, descrivendo un vero e proprio effetto di “rimbalzo” sulla superficie con formazione di un vortice ad asse orizzontale.

Un altra didattica immagine di un severo downburst è quella riportata di seguito:

sacca

Downburst “a sacca”. Fonte: weather.com

In essa si nota una conformazione “a sacca” del violento downburst con precipitazioni estremamente intense e venti presumibilmente assai impetuosi. Di norma questa particolare forma di downburst si manifesta non appena la cella temporalesca ha raggiunto la propria fase di massima intensità ed inizia il processo di invecchiamento con le correnti discendenti in procinto di avere il sopravvento su quelle ascensionali.

Il fenomeno del downburst si manifesta attraverso tre ben definiti stadi:

1) Contact stage

2) Outburst stage

3) Foreburst stage

Così come schematizzato nella figura seguente:

schema

Stadi di evoluzione di un downburst. Fonte: Chao Li, Q.S. Li, Y.Q. Xiao, J.P. Ou

Nella fase di “contact stage” la corrente fredda discendente tocca il suolo, con assetto verticale o più spesso leggermente inclinato nella direzione di spostamento della cella temporalesca, specie se questa si muove rapidamente (forti venti in media ed alta troposfera). Il vento rinforza ma ancora non raggiunge picchi particolarmente elevati.
Nella fase di “outburst stage” la corrente raggiunge il suolo divergendo, e nell’area nella quale essa diviene parallela al piano del suolo stesso si hanno i venti di massima intensità, potenzialmente in grado di arrecare danni severi. Essi risultano più intensi nella direzione di avanzamento del temporale, mentre nella zona opposta sono in genere meno severi poiché assumono direzione contraria a quella di spostamento della cella. Nella direzione di avanzamento della cella si forma un primo vortice ad asse orizzontale.
La fase di “foreburst stage” mostra nel contempo una avanzata nella stessa direzione di spostamento della cella dell’area di venti più forti, la quale tende ad allontanarsi dalla base del temporale, mentre nell’estremità opposta del downburst la massa d’aria fredda dilaga con maggiore difficoltà, tuttavia riesce a compiere ugualmente un movimento retrogrado generando un vortice ad asse orizzontale sebbene meno definito rispetto al primario, che dal canto suo mantiene le proprie caratteristiche aumentando il suo sviluppo in altezza.
A causa dell’instabilità di Kelvin-Helmholtz, tra il downburst e l’ambiente continueranno a confluire masse d’aria di diversa estrazione e nuovi vortici si formeranno periodicamente interessando il suolo, ciò e tanto più probabile quanto prolungato sarà il ciclo evolutivo della cella temporalesca.

L’effetto è quello di un sasso gettato nello stagno con onde che dal centro del downburst si propagano ad intermittenza verso l’esterno. In tal modo l’intensità del fenomeno downburst può apparire “pulsante”, con particolare riferimento alla genesi di vortici ad asse orizzontale.
Ciò è ben simulato tramite il modello di Holmes e sintetizzato nella figura seguente:

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Simulazione dell’effetto downdraft/downburst tramite Holmes model. Fonte: Chao Li, Q.S. Li, Y.Q. Xiao, J.P. Ou

Ricordiamo a tale proposito che anche i downburst producono vortici, ma essi sono ad asse oruizzontale e non provocano particolari variazioni di direzione del vento al suolo, al più si hanno solo variazioni sulla componente verticale (ascendente o discendente), mentre i fenomeni quali tornado, landspout o waterspout (trombe marine) sono caratterizzati da vortici ben definiti ad asse verticale con rapide variazioni in direzione del vento su distanze dell’ordine delle decine o al massimo centinaia di metri.
Infine, in relazione all’identificazione dei tipici danni da downburst, occorre precisare che essi sono in prevalenza di tipo lineare lungo la linea di massima intensità del vento, e leggermente divergenti ai lati, come sintetizzato dalla seguente figura:

danni

Tipologia di path associato a venti di downburst. Fonte: www.fenomenitemporaleschi.it

Nel caso in cui siano state danneggiate piantagioni, alberi, arbusti, etc. le piante saranno generalmente allettate nelle stessa direzione o al più con una leggera divergenza come indicato dalla frecce, e se il fenomeno perdura sufficientemente a lungo l’area interessata dai danni può essere sensibilmente più estesa rispetto a quelle tipicamente colpite da trombe d’aria, in particolare nella stessa direzione in cui si muove il temporale.

Dunque, prima di “incolpare” le trombe d’aria, è sempre indispensabile accertare il moto vorticoso dei venti, altrimenti si tratterà di downdraft o, nei casi particolarmente severi, di downburst.

P. Randi