Il corpo umano può essere sottoposto talvolta a situazioni ambientali caratterizzate da più o meno severo disagio fisiologico vincolato a condizioni termoigrometriche sfavorevoli, sia durante la stagione calda (generalmente da maggio a settembre) che nel corso di quella fredda (generalmente da novembre a marzo).

Infatti i normali meccanismi di termoregolazione cutanea si attuano in funzione delle condizioni termoigrometriche ambientali, le quali sono in grado di indurre sui singoli individui sensazioni più o meno soggettive di benessere o disagio fisico e psichico, che dipendono essenzialmente da svariate grandezze meteorologiche, come temperatura, umiidtà ed intensità del vento.

Nelle calde giornate estive, il corpo umano, per mantenere la sua temperatura corporea entro i limiti fisiologici, deve essere in grado di cedere verso l’esterno parte del proprio calore metabolicamente prodotto.

Quando i valori di temperatura ed umidità dell’aria sono molto elevati (specie in riferimento al tasso igrometrico), i processi di termoregolazione risultano difficoltosi o quasi impediti e si verificano, con alta probabilità, sindromi da calore, quali crampi, spossatezza e colpi di calore.

Il periodo estivo, che climatologicamente coincide col trimestre giugno-agosto, è sovente caratterizzato nella pianura padana, ed in quasi tutto il nord-Italia in generale, escluse aree geograficamente limitate e rilievi alpini ed appenninici, da frequenti condizioni di caldo umido o calore afoso, in grado di determinare stati di notevole disagio al corpo umano, segnatamente se si risiede nei grandi centri urbani (le città amplificano l’entità delle temperature massime diurne comportandosi come isole di calore a causa dell’elevata cementificazione) ma spesso anche lungo le zone costiere (trasporto di aria molto umida dal mare nelle ore pomeridiane e serali tramite le brezze a ciclo diurno).

La sensazione di caldo umido o calore afoso è avvertita dal corpo umano ogni qualvolta i valori di temperatura ed umidità relativa superano determinate soglie critiche, oltre le quali i naturali processi di termoregolazione corporea subiscono significativi disturbi, variabili a seconda dell’età e dello stato di salute del soggetto.

A modificare la sensazione di caldo umido può intervenire una terza ed importante grandezza meteorologica: il vento, il quale ha generalmente effetti positivi: in primo luogo dà origine od aumenta il rimescolamento dell’aria ai livelli troposferici bassi (quelli che poi interagiscono col nostro corpo) ostacolando l’accumulo di vapore acqueo o di calore nei primissimi strati adiacenti il suolo; in secondo luogo favorisce il raffreddamento cutaneo incrementando i processi di evaporazione (un classico esempio lo abbiamo quando dopo una forte sudata, mettendoci a riposo, sentiamo la nostra pelle raffreddarsi).

Afa: che cos’è?

 A tutti noi è successo almeno una volta nella vita di sentenziare: ‘che afa!’.

Ma cos’è esattamente l’afa? Sotto il profilo strettamente scientifico non è altro che un termine legato ad un rapporto correlato tra l’umidità e la temperatura ambientale, quantificabile attraverso una preciso legame matematico e definibile come indice di calore. Tale indice, consente, infatti, di stimare il livello di disagio fisiologico avvertito dal nostro corpo durante la stagione calda in corrispondenza di elevati valori termoigrometrici, cioè in condizioni ambientali caratterizzate da elevati valori termici ed altrettanto elevati valori di umidità relativa. In pratica esso fornisce un valore della temperatura apparente, ovvero di quella effettivamente percepita dal nostro corpo, caratteristica di cui sempre più spesso sentiamo parlare anche sui giornali e tv. In linea di massima le condizioni ambientali di afa si fanno sentire prevalentemente a temperature superiori ai 30°C e con tassi di umidità superiori del 40%. In queste condizioni, infatti, il corpo umano cede calore verso l’ambiente esterno principalmente mediante la traspirazione, ovvero la sudorazione corporea, la quale è strettamente vincolata alle condizioni meteorologiche ed è condizionata da altri fattori non strettamente dipendenti dalle condizioni meteorologiche quali: l’abbigliamento, l’età, il peso, il sesso dell’individuo, le condizioni di salute etc..

In condizioni di afa ambientale la sudorazione indotta dal nostro metabolismo che serve per non far salire troppo la temperatura corporea, non riesce ad evaporare nell’ambiente circostante perché già prossimo alla saturazione, costringendo la temperatura corporea a salire eccessivamente con possibili conseguenze per l’organismo. Nello specifico l’indice di calore si basa su studi fisiologici effettuati tra i primi da Steadman nel 1979, il quale ideò una tabella che correlava la temperature, l’umidità e la temperatura percepita dal nostro corpo.

Il corpo umano come attua i processi di termoregolazione?

In sintesi per il mantenimento della temperatura corporea entro valori normali è necessario che il calore in eccesso venga ceduto all’ambiente esterno con meccanismi di scambio per evaporazione, radiazione, convezione e conduzione.

Dal momento che a determinate soglie di calore tali scambi possono avvenire solamente per evaporazione (per temperature uguali o superiori a 33°C gli altri meccanismi vengono sostanzialmente inibiti), è indispensabile che l’ambiente esterno stesso sia favorevole, permettendo così l’evaporazione dell’acqua che affiora dall’epidermide. Se però esso è ad elevato contenuto igrometrico (alta umidità relativa) il meccanismo di evaporazione rallenta gradualmente fino a cessare completamente con temperature ambientali di 36°/37°C in presenza di aria quasi satura o satura (UR >90%).

A questo punto cominciano a manifestarsi serie conseguenze per l’eccessiva temperatura raggiunta dal corpo, fino a procurare danni cerebrali irreversibili e addirittura la morte per il cosiddetto colpo di calore. Va detto che nella nostra penisola situazioni limite come quella citata in precedenza sono molto rare se non proprio impossibili; infatti se è vero che temperature massime diurne estive non di rado toccano i 36°/37°C e fino a 39°/40°C è altrettanto vero che quasi mai si associano a valori igrometrici così elevati (generalmente non si supera il 50/60% di Ur, che comunque è un valore molto elevato per le ore pomeridiane). È bene infine distinguere il colpo di calore dal colpo di sole, che sebbene anch’esso sia pericoloso non ha i caratteri di estrema gravità che si possono attribuire al primo, essendo riconducibile unicamente ad una eccessiva esposizione del corpo ai raggi solari indipendentemente dall’umidità relativa presente nell’aria, specie se nelle ore centrali della giornata.

INDICI DI CALORE
Esistono svariati indici di calore introdotti da diversi studiosi, alcuni dei quali essenzialmente empirici ed altri analitici ma che in ogni caso contribuiscono a dare un quadro sufficientemente attendibile della pericolosità potenziale relativa alla coppia di grandezze correlate temperatura dell’aria/umidità relativa; con una breve rassegna vediamo i principali:

INDICE DI CALORE DI STEADMAN O “HEAT INDEX”
Tale indice porta il nome del proprio ideatore che lo definì nel 1979 (come citato in precedenza); l’indice di calore o heat index o apparent temperature è calcolato in gradi Fahrenheit in uso principalmente negli Stati Uniti, per cui occorre inizialmente convertire la temperatura da gradi Celsius a gradi Fahrenheit secondo la semplice relazione:

°F= (9/5) °C +32 

Ad esempio una temperatura Celsius di 28° corrisponderà a 28(9/5) +32, ossia 82,4 °F.
La formula di Steadman si applica per definizione con temperature °F>80° (cioè 27°C circa) ed UR >40%; con temperature °C >42° anche al variare dell’umidità relativa (Ur%) esistono comunque condizioni di elevato pericolo, dal momento che la temperatura ambientale è oramai troppo elevata rispetto a quella corporea. La formula è alquanto complessa e deriva da un’analisi attraverso regressioni multiple che prendono in esame i seguenti parametri:

-Pressione di vapore

-Velocità effettiva del vento

-Conformazione fisica del soggetto

-Temperatura interna del corpo umano

-Tasso di sudorazione

Nello sviluppo numerico della formula tali parametri sono già stati ricondotti ad espressioni numeriche per facilitarne l’applicazione, quindi si ha:

HI = -42,379+2,04901523*T +10,1433127*Ur-0,22475541*T*Ur-5,83783*(10-3)*(T2) -5,481717*(10-2)*(Ur2)+1,22874*(10-3)*(T2)*Ur +8,5282*(10-4)*T*(Ur2)-1,99*(10-6)*(T2)*(Ur2).

Dove T= temperatura dell’aria in °F e Ur= umidità relativa in %

Come si vede, trattasi di formula relativamente laboriosa sebbene semplice ed analitica allo stesso tempo, e la sua applicazione determina le seguenti correlazioni:

Da 80 ad 89°F cautela (stanchezza fisica)
tra 90 e 104°F estrema cautela (possibile colpo di calore)
tra 105 e 129°F pericolo (probabile colpo di calore, crampi)
>130°F grave pericolo (elevata probabilità di colpo di calore)

Una più facile interpretazione dell’indice, senza ricorrere a lunghi calcoli è possibile tramite la tabella seguente una volta noti i valori di temperatura in °F e di umidità relativa in %:

heat index

Schema riassuntivo dell’Heat index. Fonte: NOAA

 L’uso della tabella è semplice ed intuitivo: in base alla temperatura °F dell’aria ed alla corrispondente umidità relativa entreremo in una delle curve presenti nello schema, tenendo presente che dal valore di 90°F in su i pericoli aumentano fino a divenire massimi oltre 130°F. L’indice HI è ancora oggi il più diffuso negli Stati Uniti, mentre nel continente europeo trova minore apprezzamento a scapito di altri che vedremo di seguito. Comunque esiste una versione “europea” di tale indice che considera le temperature in °C, e quindi ancora più pratica da utilizzare. La riportiamo in seguito:

heat index 2

Schema riassuntivo dell’Heat index in °C. Fonte: NOAA

 Le soglie di massimo rischio si hanno in questo per valori dell’indice uguali o superiori a 54/55°C, ma stato di pericolo è già reale oltre il valore di circa 40°C, che, ad esempio, possiamo già avere con 32°C di temperatura ed umidità relativa del 50%, condizioni non impossibili in molte regioni italiane in piena estate e nelle ore centrali del pomeriggio.

INDICE DI THOM

Tale indice trova maggiore applicazione nel continente europeo ed è stato concepito per temperature in gradi Celsius; inoltre è di semplice calcolo sebbene necessiti del dato di temperatura del termometro a bulbo bagnato di uno psicrometro (strumento composto da 2 termometri per determinare direttamente l’umidità relativa dell’aria in base alla differenza tra le temperature di bulbo asciutto e di bulbo bagnato).

L’indice di disagio (ID) è determinato dalle seguente relazione:

ID=0,4*(T+Tw)+4,8

dove:
T= temperatura dell’aria in °C Tw = temperatura del termometro a bulbo bagnato

La soglia di disagio fisico ha inizio con valore di ID= 24; a mano a mano che il valore aumenta si accentua la sensazione di disagio con graduale passaggio ad un certo deterioramento delle condizioni fisiche, che avviene con valori di ID tra 27,5 e 30,5. Con valori di ID >30 la situazione si fa critica e diviene probabile il colpo di calore, il quale è quasi certo con ID compreso tra 33 e 35 (valori comunque molto rari). Nelle normali ondate di caldo umido che intervengono sovente nella stagione estiva alle nostre latitudini si raggiungono mediamente valori di ID intorno 27-29 che comunque sono da ricondurre a condizioni di elevato disagio fisico.

Ecco una pratica tabella di consultazione per ricavarlo, in essa non compare però in ingresso il valore di dew point; essa perde un poco in precisione a vantaggio comunque della maggiore rapidità nella ricerca del nostro indice:

thom

Schema riassuntivo dell’indice di disagio di Thom in °C Fonte NOAA

TAVOLE DI SCHARLAU

Più che un indice vero e proprio si tratta di una conversione termica apparente in base al dato igrometrico iniziale; in pratica per ogni valore di umidità relativa si individua la temperatura critica oltre la quale cessa lo stato di benessere e comincia la fase di disagio fisico da caldo umido; essa è valida anche per l’individuazione delle condizioni di disagio da freddo umido nel periodo invernale.

La tavola è la seguente:

TAB

Nella fattispecie abbiamo per esempio che con un valore di umidità relativa del 65% se la temperatura supera i 23,2°C entreremo in condizioni di disagio fisico da caldo umido. La tabella di Scharlau per la semplice consultazione senza calcoli più o meno gravosi trova vasta applicazione ovunque.

La formula interpolante è la seguente, sebbene essa tenga conto, come dato di ingresso, del grado igrometrico, espresso come il rapporto tra la pressione del vapore e la pressione del vapore saturo:

Tis = (-17.089 • ln(U) + 94.979) – tc

Dove: tc = temperatura del termometro (bulbo asciutto) [°C] U = umidità relativa (gradi idrometrici) [U = Ur • 100]

La differenza tra la temperatura locale Tc e la temperatura critica individuerà un delta T (Tis nella formulazione), la cui ampiezza indica il grado di intensità del disagio fisico (debole, moderato, intenso o benessere) secondo i valori di seguito riportati:

Tis <=1 Disagio Debole

1 < Tis <= 3 Disagio Moderato

Tis > 3 Disagio Forte

Il range di validità di questo indice è, per la temperatura ambientale, compreso tra 17°C e 39°C, mentre in relazione al tasso di umidità relativa esso prevede che sia superiore o uguale al 30%.

Al di fuori del range termico, anche al variare dell’umidità relativa, l’indice attribuisce sempre la condizione fisiologica alle classi estreme, cioè “benessere” per temperature inferiori a 17°C e “disagio intenso” per temperature superiori a 39°C.

Con il pratico grafico riportato sotto possiamo comunque desumere fin da subito, una volta nota la temperatura dell’aria e l’umidità relativa, le eventuali condizioni di benessere (area verde), disagio debole sia da caldo che da freddo (aree gialle), disagio intenso sia da caldo che da freddo (aree rosse):

scharlau

Indice di Scharlau. Fonte: http://www.naturmed.unimi.it/

P. Randi

Meteocenter